Autorità garante delle comunicazioni – controversie tra
utenti e società erogatrici del servizio – tentativo di
conciliazione – esigenze cautelari – prevalenza –
sussistenza [art. 1, L. 249/1997;
art. 24 Cost.]
In caso di
controversie fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto
autorizzato o destinatario di licenze in materia di
comunicazione, la disposizione normativa che prevede il
previo esperimento di un tentativo obbligatorio di
conciliazione, deve essere interpretata nel senso che il
mancato espletamento del prescritto tentativo di
conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti
cautelari.
(Fonte:
Altalex Massimario 26/2007.
Cfr.
nota
di Nicola Ulisse)
Corte
Costituzionale
Sentenza 30
novembre 2007, n. 403
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Franco BILE
Presidente
- Giovanni
Maria FLICK Giudice
- Francesco
AMIRANTE "
- Ugo DE
SIERVO "
- Paolo
MADDALENA "
- Alfio
FINOCCHIARO "
- Alfonso
QUARANTA "
- Franco
GALLO "
- Luigi
MAZZELLA "
- Gaetano
SILVESTRI "
- Sabino
CASSESE "
- Maria Rita
SAULLE "
- Giuseppe
TESAURO "
- Paolo Maria
NAPOLITANO "
ha pronunciato
la seguente
SENTENZA
nel giudizio
di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della
legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle
telecomunicazioni e radiotelevisivo), promosso con ordinanza
del 22 settembre 2006 dal Tribunale di Pisa nel procedimento
civile vertente tra M. M. ed altro e Telecom Italia s.p.a.,
iscritta al n. 404 del registro ordinanze 2007 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie
speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella
camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore
Giuseppe Tesauro.
Ritenuto in
fatto
1. – Il
Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, con
ordinanza del 22 settembre 2006, ha sollevato, in
riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione
dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme
sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo)
«nella parte in cui esso esclude anche la possibilità di
proporre ricorso in sede giurisdizionale di natura
cautelare, fino a che non sia stato esperito il tentativo
obbligatorio di conciliazione ivi previsto».
2. – Il
rimettente premette di essere stato adito, nell’àmbito di un
procedimento civile promosso nei confronti di Telecom Italia
s.p.a., in sede cautelare ai sensi dell’art. 700 del codice
di procedura civile, al fine di ottenere l’attivazione in
via d’urgenza di una linea telefonica fissa.
Espone,
inoltre, che nel giudizio si è costituita la Telecom Italia
s.p.a. la quale ha eccepito, oltre all’assenza dei
presupposti specifici di cui all’art. 700 cod. proc. civ.,
l’«improponibilità e/o improcedibilità» dell’azione ai sensi
dell’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997, in
ragione del mancato espletamento del tentativo obbligatorio
di conciliazione.
Nelle more
del medesimo giudizio – premette altresì il giudice a quo –
le parti hanno dato atto che è cessata la materia del
contendere in quanto la linea telefonica è stata allacciata,
ma hanno, tuttavia, rispettivamente, chiesto la condanna
dell’altra parte alle spese di lite, in base al principio
della cosiddetta soccombenza virtuale.
Infatti –
osserva il giudice rimettente – le spese di lite dovrebbero
essere poste a carico dei ricorrenti nel giudizio principale
o al massimo compensate, in quanto dal divieto di proporre
l’azione giurisdizionale, se non dopo aver esperito il
tentativo obbligatorio di conciliazione, deriverebbe la
soccombenza virtuale dei ricorrenti che hanno introdotto
l’azione cautelare senza aver prima esperito il predetto
tentativo. Se, invece, la disposizione in esame fosse
dichiarata costituzionalmente illegittima, le spese di lite
dovrebbe essere poste a carico della Telecom Italia s.p.a.
La questione,
pertanto, è – ad avviso del medesimo rimettente – rilevante.
3. – In punto
di non manifesta infondatezza, il Tribunale di Pisa sostiene
che l’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997 –
«almeno nella parte in cui […] preclude temporaneamente il
ricorso anche alla tutela cautelare [...]» – è in contrasto
con l’art. 24 della Costituzione, che garantisce a tutti il
diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti ed interessi legittimi, diritto cui è coessenziale
la tutela cautelare, «la cui funzione potrebbe essere
frustrata dalla necessità di attendere l’esaurimento del
procedimento conciliativo».
Il rimettente
non ritiene di poter condividere l’interpretazione della
disposizione in esame, accolta da altri giudici di merito,
secondo la quale il mancato espletamento della previa
procedura di conciliazione non potrebbe precludere la tutela
cautelare: tale interpretazione, peraltro contraddetta da
numerose decisioni di segno opposto, non sarebbe, infatti,
conciliabile con l’ampiezza dell’espressione «ricorso in
sede giurisdizionale» contenuta nella disposizione
censurata, il cui significato non sembra potersi limitare
alla sola azione ordinaria, con esclusione di quella
cautelare. A conforto di ciò starebbe, inoltre, la stessa
previsione – di cui all’art. 2, comma 20, lettera e), della
legge 14 dicembre 1995 n. 481 (Norme per la concorrenza e la
regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione
delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica
utilità) – di uno specifico potere dell’Autorità di
regolazione per le telecomunicazioni, di emettere
provvedimenti temporanei diretti a garantire la continuità
dell’erogazione dei servizi nell’àmbito della procedura di
conciliazione: la previsione di un simile potere sarebbe
superflua ove, in mancanza o in pendenza di un procedimento
conciliativo, si potesse proporre l’azione cautelare dinanzi
agli organi giurisdizionali competenti, né sarebbe comunque
sufficiente ad eliminare il sospetto di illegittimità
costituzionale della norma denunciata, non potendo un potere
di un’autorità amministrativa supplire alla carenza di
tutela giurisdizionale.
4. – E’
intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
manifestamente infondata.
La difesa
erariale osserva che l’istituto di cui alla norma censurata,
che costituisce uno strumento volto ad assicurare un filtro
rispetto al proliferare del contenzioso nella specifica
materia, configura una mera condizione di procedibilità
dell’azione, alla mancata effettuazione del tentativo
obbligatorio di conciliazione non essendo riconnessa alcuna
decadenza di indole processuale. La norma censurata,
pertanto, deve essere interpretata, secondo l’Avvocatura
generale dello Stato, nel senso che l’azione giudiziaria non
può essere pregiudicata dall’omissione dell’incombente, ma
solo sospesa in attesa del suo esaurimento.
Considerato
in diritto
1. – Il
Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art.
1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione
dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme
sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), in
riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione.
2. – Secondo
il rimettente la predetta disposizione, stabilendo che, per
le controversie fra utenti o categorie di utenti ed un
soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure fra
soggetti autorizzati o destinatari di licenze fra loro, «non
può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non
sia stato esperito un tentativo obbligatorio di
conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla
proposizione dell’istanza» all’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni, escluderebbe anche la possibilità di
proporre ricorso in sede giurisdizionale di natura
cautelare, fino a che non sia stato esperito il predetto
tentativo obbligatorio di conciliazione, in tal modo
determinando una lesione del diritto di agire in giudizio,
«diritto cui è essenziale la tutela cautelare, la cui
funzione potrebbe essere frustrata dalla necessità di
attendere l’esaurimento del procedimento conciliativo».
3. – La
questione non è fondata nei sensi di seguito esposti.
3.1. – Il
giudice rimettente muove dalla premessa interpretativa,
tutt’altro che pacifica in giurisprudenza, secondo la quale
la disposizione censurata, stabilendo che, per le
controversie dalla stessa previste, «non può proporsi
ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato
esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da
ultimare entro trenta giorni dalla proposizione
dell’istanza» alla Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, non consentirebbe il ricorso alla tutela
cautelare, nel caso di mancato esperimento del prescritto
tentativo obbligatorio di conciliazione. L’opposta
interpretazione della medesima disposizione, accolta da
altri giudici di merito, pur richiamata e ritenuta, dal
medesimo Tribunale, conforme a Costituzione, non sarebbe
possibile ai sensi dell’art. 12 delle preleggi: essa non
sarebbe, infatti, conciliabile con l’ampiezza
dell’espressione «ricorso in sede giurisdizionale» contenuta
nella disposizione censurata, il cui significato non si
ritiene possa limitarsi alla sola azione ordinaria, con
esclusione di quella cautelare.
Tale assunto
risulta privo di fondamento alla luce degli orientamenti
espressi dalla giurisprudenza costituzionale in tema di
tentativo obbligatorio di conciliazione e di tutela
cautelare.
Occorre,
infatti, considerare che questa Corte ha affermato che
quanto stabilito dall’art. 412-bis del codice di procedura
civile, con riferimento alla disciplina delle controversie
di lavoro, secondo cui il mancato espletamento del
prescritto tentativo di conciliazione non preclude la
concessione di provvedimenti cautelari, deve essere inteso
nel senso che «un istituto di generale applicazione in ogni
controversia di lavoro (il tentativo obbligatorio di
conciliazione) si arresta in presenza di un’istanza
cautelare, prevalendo – sulle altre perseguite dal
legislatore – le esigenze proprie della tutela cautelare»
(sentenza n. 199 del 2003). In termini più generali, questa
Corte ha inoltre riconosciuto, sia pure incidentalmente,
che, per i procedimenti cautelari, «l’esclusione dalla
soggezione al tentativo di conciliazione si correla alla
stessa strumentalità della giurisdizione cautelare»
(sentenza n. 276 del 2000) rispetto alla effettività della
tutela dinanzi al giudice ripetutamente ribadita da questa
Corte (sentenza n. 336 del 1998; ma si vedano anche le
sentenze n. 199 del 2003, n. 165 del 2000, n. 161 del 2000,
n. 190 del 1985 e le ordinanze n. 179 del 2002, n. 217 del
2000).
La tutela
cautelare, infatti, in quanto preordinata ad assicurare
l’effettività della tutela giurisdizionale, in particolare a
non lasciare vanificato l’accertamento del diritto, è uno
strumento fondamentale e inerente a qualsiasi sistema
processuale (sentenza n. 190 del 1985), anche
indipendentemente da una previsione espressa (Corte di
giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 19 giugno
1990, causa C-213/89, Factortame).
A simili
enunciazioni non può non riconoscersi portata generale, ove
si tenga conto della identità degli interessi
costituzionalmente rilevanti coinvolti in tutte le procedure
rispetto alle quali è prescritto l’obbligatorio tentativo di
conciliazione.
Esse
risultano, d’altra parte, anche coerenti con l’affermazione
che non contrasta con il diritto di azione di cui all’art.
24 della Costituzione la previsione di uno strumento quale
il tentativo obbligatorio di conciliazione, in quanto essa è
finalizzata ad assicurare l’interesse generale al
soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali
realizzato attraverso la composizione preventiva della lite
rispetto a quello conseguito attraverso il processo
(sentenza n. 276 del 2000). Detto interesse svanisce in
riferimento all’azione cautelare, proprio in considerazione
delle particolari esigenze che si vogliono tutelare con i
procedimenti cautelari, esigenze che richiedono una risposta
immediata. Non può, infatti, ritenersi che il tentativo
obbligatorio di conciliazione, se considerato condizione di
procedibilità anche per l’azione cautelare, assicuri un
soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile
mediante tale forma di protezione. Inoltre, la diversa
natura, il diverso regime e le diverse finalità della tutela
cautelare e dei provvedimenti temporanei che l’Autorità può
adottare al fine di garantire la continuità dell’erogazione
del servizio o di far cessare forme di abuso o di scorretto
funzionamento del medesimo da parte dell’operatore, rendono
irrilevante la disciplina stabilita dall’art. 21 del
regolamento sulle procedure di risoluzione delle
controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed
utenti e dall’art. 2, comma 20, lettera e), della legge 14
novembre 1995, n. 481, ai fini della corretta
interpretazione della norma censurata.
Alla luce
delle richiamate indicazioni – considerando peraltro che la
stessa lettera della disposizione censurata non è preclusiva
della esegesi costituzionalmente orientata della medesima
(sentenza n. 379 del 2007) – si deve, quindi, interpretare
la predetta disposizione nel senso che il mancato
espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non
preclude la concessione di provvedimenti cautelari.
Tale opzione
interpretativa – che obbedisce al principio, espresso anche
dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le
disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità,
costituendo deroga alla disciplina generale, devono essere
interpretate in senso non estensivo – consente di fugare i
dubbi di legittimità costituzionale proposti dal rimettente
e si impone pertanto come doverosa, in linea con l’ormai
consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale
«una disposizione deve essere dichiarata incostituzionale
non perché può essere interpretata in modo tale da
contrastare con precetti costituzionali, ma soltanto qualora
non sia possibile attribuire ad essa un significato che la
renda conforme alla Costituzione» (tra le molte, sentenze n.
379 del 2007, n. 343 del 2006, n. 336 del 2002, n. 356 del
1996; ordinanze n. 86 del 2006, n. 147 del 1998).
Per questi
motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara
non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della
legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle
telecomunicazioni e radiotelevisivo), sollevata, in
riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione,
dal Tribunale di Pisa, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 21 novembre 2007.
F.to:
Franco BILE,
Presidente
Giuseppe
TESAURO, Redattore
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 30 novembre 2007.
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