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Liceo scientifico “Issel”

Classe V D

Prof. Serena Ferrando 

Lezione di italiano di lunedì 11 aprile 2005 

Salvatore Quasimodo 

Salvatore Quasimodo nacque a Modica, in provincia di Ragusa, il 20 agosto del 1901. Nel 1908 il padre, capostazione delle ferrovie, venne trasferito a Messina dopo il terremoto del 28 dicembre di questo anno, nella città praticamente ridotta in macerie. Qui egli ebbe una precocissima esperienza del dolore, costretto con la famiglia ad alloggiare in un carro merci fermo su un binario morto della stazione distrutta. I primi tentativi poetici risalgono al 1915. Nel 1917, mentre frequentava l’istituto tecnico, fondò una piccola rivista letteraria insieme agli amici, intitolata “Il nuovo giornale letterario”, sulla quale pubblicò i suoi primi versi. Nel 1919 si iscrisse al Politecnico di Roma per conseguire la laurea in ingegneria. Ma i genitori non potevano mantenerlo agli studi, quindi Salvatore dovette lavorare per poter continuare a rimanere a Roma: non si laureò mai (ricevette tuttavia nel 1960 la laurea honoris causa presso l’Università di Messina) per il tempo presogli dal lavoro e perché ormai la vocazione poetica lo aveva distolto dagli studi tecnici. A Roma lavorò come disegnatore, poi come commesso in un negozio di ferramenta, quindi alla Rinascente. In questo periodo incominciò ad avvertire l’esigenza di approfondire gli studi e cominciò a prendere lezioni private di greco e latino. Nel 1930, grazie all’interessamento di Vittorini, conobbe un gruppo di scrittori “solariani”, tra cui spiccava Montale. Proprio per le edizioni di Solaria venne pubblicata nel 1930 la prima raccolta di versi, Acque e terre. Nel 1931, trasferito a Imperia per lavoro, si spostò ogni settimana a Genova e fece la conoscenza di Sbarbaro. Nel 1932 il circolo letterario ligure gli permetteva di pubblicare la raccolta Oboe sommerso, che vinse il premio dell’Antico Fattore e venne accolto con grande interesse dalla critica. Questa prima esperienza poetica di Quasimodo è giustamente inquadrabile come “ermetica”. Fra il 1934 e il 1936 Quasimodo si trasferì a Milano, dove strinse interessanti legami con l’ambiente letterario lombardo. Nel 1936 pubblicò Erato e Apollion, quindi venne trasferito in Valtellina. In questi anni l’avversione per il fascismo si stava facendo in lui sempre più accesa e decisa. Nel 1940 pubblicò la traduzione dei Lirici greci, di fondamentale importanza. Nel 1941 divenne professore al Conservatorio di Milano e l’anno seguente vide uscire per Mondadori Ed è subito sera, raccolta di grande successo. Questo periodo fu di intensa attività letteraria, con molte traduzioni da Catullo, dal greco del Vangelo di Giovanni, da Sofocle, da autori come Shakespeare e Neruda. Negli anni del dopoguerra l’antifascismo del poeta divenne esplicito e parte integrante della sua opera letteraria: la sua poesia si fece allora impegnata, civile, “per rifare l’uomo”, dirà nel 1946. Tra il 1949 e il 1958 Quasimodo pubblicò ancora molti libri di traduzioni. Nel 1959 ricevette il premio Nobel per la letteratura, proprio per la sua nuova poesia civile. Si spense nel 1968 Napoli per emorragia cerebrale.

 

L’esperienza poetica di Quasimodo è chiaramente articolata secondo due direzioni: prima l’ermetismo, quindi, l’impegno civile. Grande importanza per il suo percorso letterario hanno certo le numerose traduzioni da antichi e moderni che egli pubblicò, selezionando autori e materiali secondo le proprie inclinazioni spirituali e ricreando liricamente le opere che traduceva secondo la propria ispirazione poetica. La sua formazione letteraria, peraltro non accademica e in partenza da autodidatta, si svolge nell’ambito solariano ed ermetico, tanto che egli è considerato giustamente come uno dei massimi esponenti dell’ermetismo italiano degli anni trenta. Nelle prime raccolte di Acque e terre, oboe sommerso, Erato e Apollion, Quasimodo esprime il bisogno di essenzialità e purezza della lirica pura, con un assottigliamento ed una progressiva rarefazione dei temi tradizionali della lirica e una macerata concentrazione della parola scarnificata e al tempo stesso intensa per i suoi significati simbolici e illuminanti. La materia della prima lirica del poeta si concentra così nel ricordo della remota favolosa infanzia e della nativa Sicilia, ormai definitivamente perduti. Ma questa materia vive un’atmosfera di silenzio e luminosità, che la cifra preziosa e quasi allusivamente iniziatica dell’Ermetismo rende traslucida come con un puro cristallo. I versi di questi anni sono dotati di insolita musicalità, di limpida eleganza formale.

La traduzione dei Lirici greci del 1940 costituisce una tappa fondamentale nel suo divenire poetico. Si tratta di un’autentica ed ispirata opera di “approssimazione poetica” ai testi antichi, un’operazione di altissima letteratura attraverso la quale egli ricrea tutta la loro densità poetica entro i moduli espressivi del proprio genio. Una singolare continuità ideale lega il poeta moderno con gli antichi cantori delle isole che nel mare del mito si stendevano un tempo di fronte alla sua terra nativa. Le parole degli antichi vati tornano così nella sua voce, rendendosi in questo modo eterne. La purezza del linguaggio, la limpidezza delle immagini, l’essenzialità del discorso reso suggestivo dallo stupefatto silenzio del frammento, sono la continuazione perfetta della ricerca ermetica, ma ricevono una grazia illuminante tutta speciale in virtù della singolarissima vocazione poetica dell’autore. Si può osservare come l’opera di traduzione dei lirici greci allarghi il discorso del poeta oltre l’Ermetismo, nel delicato e necessario passaggio dal monologo al dialogo, dall’offerta della propria disseccata solitudine alla ricerca di un colloquio, verso la piena solidarietà umana. Abbiamo così Il fiore delle Georgiche, del 1942, dove egli esalta la pacifica industria terrena nel recupero di Virgilio negli anni in cui imperversa la guerra. Escono in quegli anni altre significative opere poetiche, tra cui Ed è subito sera, dello stesso anno 1942, la prima raccolta conclusiva di vent’anni di attività poetica sottoposta al vaglio della scelta e della revisione, dove si preannuncia tutto il senso di tristezza e umana partecipazione della produzione del dopoguerra.

Solo dopo le stragi e i lutti del disastro mondiale il poeta ha il coraggio di riprendere il canto: abbiamo così Giorno dopo giorno, del 1947, dove Quasimodo non abbandona i vecchi motivi poetici come il caro e nostalgico ricordo siciliano, ma esprime al tempo stesso un’esperienza e una ricerca più matura nel bisogno di aderire al suo tempo, rivivendo gli orrori e la desolazione della guerra e dell’occupazione straniera e denunciando la nativa ferina ferocia dell’uomo non cancellata neppure dal progresso scientifico. Ricordi del passato e presenza del tragico presente rivivono nelle raccolte La vita non è un sogno, del 1949, Il falso e il vero verde, del 1956, La terra impareggiabile, del 1958, dove sull’impegno civile e sociale sembra prevalere questa volta la nota lirica e la meditazione sulla morte che si accompagnano al mito intramontato del mondo classico e alla polemica contro la civiltà moderna. I viaggi che numerosi egli compì in questo periodo rivivono liricamente nella raccolta Dare e avere, del 1966, l’ultima che egli scrisse, nella quale riesce ad esprimere tutto l’intenso attaccamento alla sua “terra impareggiabile”, la meditazione sulla morte come fine e causa di dolore e rimpianto per tutti, ma sempre con virile dignità.

Il bisogno di scoprire nella propria sofferenza il dolore del mondo ha dunque spinto il poeta durante e dopo la guerra a partecipare con maturo impegno al dramma dell’umanità offesa per contribuire alla fondazione di una società più libera e consapevole della dignità umana. Tra la prima fase ermetica e questa esperienza lirica di impegno civile si stende una linea, anche se sottile e sotterranea, di continuità e approfondimento interiore e non si apre una cesura incolmabile. La stessa evoluzione stilistica del linguaggio poetico di Quasimodo non consente una rigida scansione in due tempi contrapposti della sua produzione poetica, ma conferma piuttosto una continuità di ricerca, che è sotto un altro aspetto confermata dalle contemporanee scelte del traduttore, che rimane sempre fedele a se stesso, anche nella varietà degli autori rivisitati, dai lirici greci a Virgilio, dal Vangelo secondo Giovanni, del 1945, ai canti di Catullo, pure del 1945, dall’Odissea, sempre del 1945, a Sofocle, di cui traduce l’Edipo re, del 1946, l’Elettra, del 1954; ricordiamo ancora le traduzioni da Shakespeare, Romeo e Giulietta, del 1948, il Machbeth, del 1952, Riccardo III, del 1952; la tempesta, del 1956, Otello, del 1959, Antonio e Cleopatra, del 1966; tra i tragici greci ricordiamo ancora le traduzioni da Eschilo, le Coefore, 1949, da Euripide, Ecuba, 1963, Eracle, 1966. Egli tradusse anche le poesie di Pablo Neruda, nel 1952, alcune parti delle Metamorfosi di Ovidio, del 1959. Quasimodo ribadì consapevolmente la necessità per il poeta di essere “impegnato” in alcuni importanti saggi e discorsi.