Salvatore
Quasimodo, quarant’anni dopo di Luigi Mariano Guzzo
Il 14 giugno ricorrono i quarant’anni dalla morte del premio
Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo. L’Italia
sembra non ricordarlo. Eppure il suo impegno per la poesia
non ha precedenti nella cultura del nostro Paese.
Quest’anno, precisamente il 14 giugno, ricorre il
quarantesimo anniversario della morte del grande poeta
italiano Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la
Letteratura nel 1959. Anche se non sono state molte le
celebrazioni organizzate in sua memoria nel nostro Paese,
che spesso pare dimenticarsi dei suoi figli più illustri,
tracciare un breve profilo delle sua attività letteraria è
doveroso.
I ragazzi delle scuole italiane, alla fine Quasimodo lo
vivono quotidianamente.
La sua figura è presente su molte Antologie delle scuole
primarie e delle scuole secondarie di primo e di secondo
grado. Senza contare che, in questi esami di Stato se, come
sempre avviene, i pronostici non saranno smentiti, insieme a
Pavese (di cui a settembre ricorrono i cent’anni dalla
nascita) Quasimodo è uno dei grandi attesi per la prima
prova d’Italiano.
La poetica di Quasimodo, come per ogni artista, è stata
influenzata certamente dai dolori che la vita ha posto lungo
il suo cammino e dalle incomprensioni che spesso ha
suscitato la sua attività nella cultura ufficiale.
Salvatore Quasimodo non ha una fanciullezza facile. Nasce a
Modica (Ragusa) il 20 febbraio del 1901. E’ figlio di un
capostazione delle Ferrovie dello Stato ed è così in
continuo movimento da un paese all’altro della Sicilia.
Dopo il tragico terremoto del 1908 Salvatore, ancora
bambino, segue il padre a Messina, dove era stato chiamato
per riorganizzare la locale stazione. Prima dimora della
famiglia è un vagone ferroviario.
E’ nella città dello Stretto che Quasimodo, nel 1919, si
diploma all’Istituto Tecnico “Jaci”, sezione
fisico-matematica.
Ad appena diciotto anni lascia Messina e si trasferisce a
Roma. Nella Capitale inizia gli studi in ingegneria ma li
abbandona dopo poco tempo per dedicarsi al latino e al
greco. A iniziarlo negli studi è, in Vaticano, monsignor
Rampolla del Tindaro, nativo di Polizzi Generosa, in
provincia di Palermo e grande letterato (pare che sia stato
l’autore della prima grammatica della lingua sanscrita, la
lingua ufficiale indiana). Intanto inizia a pubblicare versi
su giornali locali messinesi.
Nel 1926 il Ministero dei Lavori Pubblici assume Quasimodo
al Genio Civile di Reggio Calabria. L’attività di geometra
non lo soddisfa, anche se comunque gli offre la possibilità
di vivere discretamente. L’avvicinamento alla Sicilia gli
consente comunque di riabbracciare i suoi vecchi affetti e
di intensificare le sue pubblicazioni.
E’ grazie al cognato Elio Vittorini (scrittore italiano,
nato nel 1908 a Siracusa e morto a Milano nel 1966) che nel
1929 Salvatore Quasimodo si trasferisce a Firenze, dove
stringe amicizia con numerosi letterati, da Alessandro
Bonsanti, ad Arturo Loira, a Gianna Manzini, a Eugenio
Montale. Questi intellettuali si riuniscono intorno alla
rivista culturale “Solaria”. L’inizio dell’attività
pubblicistica su “Solaria” segna l’investitura ufficiale
della condizione poetica di Quasimodo. Ed è proprio per le
“Edizioni Solaria" che esce nel 1930 Acque e terre, il primo
libro della storia poetica di Quasimodo, accolto con
entusiasmo dai critici dell'epoca, che salutano la nascita
del nuovo poeta.
Nel 1934 Quasimodo è a Milano. Nel capoluogo lombardo
collabora per un breve periodo a “Il Tempo” e si trova al
centro di una sorta di società letteraria di cui facevano
parte poeti, musicisti, pittori e scultori.
Dopo aver abbandonato il genio civile ed aver cominciato a
fare il segretario del regista e scrittore Cesare Zavattini,
Quasimodo riceve nel 1941, per meriti letterari la cattedra
di Italiano al Conservatorio di Milano. Ormai Quasimodo è
entrato a tutti gli effetti nella letteratura ufficiale
italiana.
Nel 1959, un po’ a sorpresa, riceve il premio Nobel per la
letteratura “per la sua poetica lirica, che con ardente
classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei
nostri tempi” –si legge nella motivazione- e pronuncia il
famoso discorso, “Il poeta e il poltico”, ribadendo
l’esigenza di una responsabilizzazione politica della
letteratura.
Quasimodo muore 14 giugno del 1968 in macchina, colpito da
un malore, sulla strada verso Napoli.
Fa quasi vergogna l’indifferenza di un Paese nei confronti
di un Premio Nobel, le cui opere sono state tradotte in
quaranta lingue (compreso il coreano). Come sono passati
sottotono i cent’anni dalla sua nascita nel 2001, passerà
anche l’anniversario della morte. Ma che cosa rimane di
Quasimodo quarant’anni dopo la sua scomparsa?
Sicuramente il suo impegno a favore della poesia non ha
precedenti nella cultura italiana.
12/06/2008
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